venerdì 18 marzo 2011

Inno

"Fratelli d'Italia
L'Italia s'è desta
dell'elmo di Scipio
s'è cinta la testa.
Dov'è la Vittoria?
Le porga la chioma;
ché schiava di Roma
Iddio la creò.
Stringiamoci a coorte!
Siam pronti alla morte;
Italia chiamò"


Questo il testo del nostro inno nazionale scritto da Goffredo Mameli nel 1847. Non è che Mameli si è messo lì a comporre un inno nazionale per una Italia di là da venire, considerando anche che la prima guerra di indipendenza, non ostante la buona volontà e la preparazione dell'esercito del Regno di Sardegna, l'abbiamo persa buscandole dall'Impero Austro-ungarico, l'idea di Italia unita era ancora un'idea in via di concretizzazione ma l'esito era tutt'altro che scontato.
L'inno fa parte di una poesia, composte da molte stanze, a tema patriottico; la poesia ha momenti felici e stanze più farraginose, ma quella scelta per l'inno è una delle più riuscite.
Non sono un fine letterato, non ho alle spalle studi classici, o lauree in materie umanistiche, ma leggo molto e malgrado la mia formazione scolastica più professionale credo di avere, grazie a ottimi insegnanti e a una scuola pubblica che allora, non ostante qualche acciacco, funzionava a dovere... prima insomma che la prendessero a mazzate nelle ginocchia insomma, una buona preparazione umanista; quindi farò una approssimata analisi del nostro inno, perché ho sentito cose che avrei preferito non sentire e le ho ignorate perché dovevo...

"Fratelli d'Italia
L'Italia s'è desta
dell'elmo di Scipio
s'è cinta la testa."

Il riferimento che ci fa capire che l'Italia si è svegliata e ha deciso di combattere per la sua indipendenza e liberarsi dal giogo austro-ungarico è quel "Scipio". Quando la poesia è stata scritta l'Italia era composta da svariati stati mantenuti in piedi dalle truppe asburgiche che avevano fatto della nostra patria uno stato satellite. "Scipio" è, ovviamente, Scipione l'Africano che dopo averle prese da Annibale a Canne ricambia, anni dopo, con la battaglia di Zama, pone fine alla seconda guerra punica e alla potenza cartaginese. In questo passo è visto come l'artefice della riscossa latina, la liberazione del suolo d'Italia dalle truppe cartaginesi e il fondatore della gloria di Roma.

"Dov'è la Vittoria?"
La Signora Vittoria non si è persa e la domanda non è seminata a caso. Vittoria è la personificazione della vittoria (la nike greca). Dato che da tempo l'Italia era dominio asburgico ci si chiede che fine abbia fatto la Vittoria che accompagnava le legioni romane.

"Le porga la chioma;
ché schiava di Roma
Iddio la creò."

chi porge la chioma a chi? cioè chi china il capo a chi? E' la Vittoria che deve chinare il capo all'Italia, perché ella, la Vittoria, è stata creata da Dio quale schiava di Roma; è la Vittoria ad essere schiava di Roma. Roma è intesa come "Impero Romano"; all'epoca a nessuno passava per la testa di ricordare che la penisola fosse stata, prima delle conquiste latine, un coacervo disunito di genti variamente assortite e in lotta tra loro; il richiamo all'azione e alla battaglia per la libertà doveva essere alla grandezza dell'Impero Romano del quale l'Italia ne era l'erede (se suona familiare basta pensare agli argomenti utilizzati da altri più o meno dal 1925...), per rinverdire i fasti della passata grandezza.
Nessun riferimento al Vaticano.
Cavour fece propria l'espressione "libera Chiesa in libero Stato" e, ricordiamoci, che se l'unità d'Italia è stata possibile solo nel XIX° secolo è stato perché il Papa per preservare il potere temporale, oltre a inventarsi la bugia della "donazione di Costantino", ha sempre brigato per mantenere divisa l'Italia e frustrare ogni tentativo compiuto in questa direzione ricorrendo a questa o a quella potenza straniera("divide et impera", non potendo mettere sempre in atto ciò che aveva proclamato Innocenzo III, la Curia si arrangiava come poteva per mantenere il suo dominio territoriali a scapito nostro).
L'altro periodo di grandezza l'Italia l'ha vissuto durante il Rinascimento, ma richiamarsi a tale periodo sarebbe stato inutile perché allora eravamo impegnati ad azzannarci alla gola gli uni con gli altri; avrebbe alimentato la divisione e le incomprensioni interne facendo fallire la lotta per l'indipendenza.

"Stringiamoci a coorte!"
Mi si è fatto notare che ho dimenticato un passo.
La "coorte" è stata introdotta da Gaio Mario come riforma dell'esercito romano (è detta "riforma mariana" per il nome Mario...). Non sto ad addentrarmi in dettagli tecnici che dovrei ripassare o studiare ex novo; ci basti sapere che si trattava di una formazione militare numerosa, coesa e devota al proprio comandante. L'invito è quello a unirci e dimenticare i motivi di divisione per conquistare, e preservare, la libertà.
Il richiamo all'unità è fatto perché solo uniti è possibile contrastare efficacemente il nemico.
La storia insegna che la tattica "divide et impera" è efficacissima e l'unico modo per contrastarla è quella di avere un forte sentimento unitario.
Le nostre differenze e diffidenze sono state alimentate, nei secoli, ad arte per preservare interessi particolari; purtroppo siamo nati tardi come nazione e quindi siamo soggetti a rigurgiti di forze separatiste.

Non sono nazionalista e devo dire che non sono neppure un gran ché come patriota, la mia patria l'amo e la detesto al contempo e a fasi alterne, ma detesto la manipolazione dei dati a proprio uso e consumo. Per quanto possa sembrare strano e contrariamente all'andazzo attuale, credo fermamente che non importi quante volte una bugia viene ripetuta; non diventerà mai qualcosa di diverso da quello che è.

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