giovedì 12 gennaio 2012

Comunicazione

La comunicazione coinvolge, in via esemplificativa, un mittente, un mezzo di comunicazione e un ricevente.
L'articolo "un" non deve essere inteso in senso stretto, poiché le categorie su menzionate possono essere anche una collettività di soggetti o di mezzi, quindi il mittente potrebbe essere una cultura umana, o aliena poca importa, il mezzo una serie di documenti pittorici, informatici, matematici, scritti o architettonici etc... e chi riceve può essere un'altra cultura; specificato questo tiréma inans*.
Lo scopo della comunicazione è la comprensione, di quanto trasmesso dal mittente, da parte del ricevente, per fare questo è importante che chi trasmette e chi riceve si appoggino alle medesime convenzioni e che conoscano il mezzo di comunicazione.
Una convenzione è un insieme di "segni", nel modo più ampio possibile nel quale si può interpretare tale parola, codificati che hanno il medesimo significato per chi riceve e per chi trasmette.
Se io trasmettessi un messaggio in Morse al mio vicino di pianerottolo che ignora tale linguaggio, fallirei nel processo di comunicazione perché il mio vicino non capirebbe un'ostia.
Ricordiamoci che è solo grazie alla stele di Rosetta se noi possiamo capire il geroglifico, senza quel pezzo di pietra la cultura egizia ci sarebbe stata nota solo per quello che gli altri dicevano di essa e grazie all'imponenza dei suoi resti.
Nel caso ristretto, ovvero nella comunicazione che avviene da un individuo alla società, la scelta del mezzo è molto importante, poiché mezzi diversi presuppongono linguaggi diversi e quindi il messaggio può essere più o meno incisivo a seconda del mezzo scelto.
A questo punto diventa fondamentale la conoscenza, da parte di chi trasmette, del mezzo di trasmissione; le sue regole, le sue convezioni, poiché solo così il messaggio può essere trasmesso in modo chiaro e comprensibile. C'è, quindi, da parte di chi trasmette uno sforzo affinché il messaggio possa essere ricevuto senza ambiguità.
Se parlo con qualcuno e voglio che questi capisca quanto dico, mi devo sforzare di esporre il mio punto di vista in modo chiaro, anche conciso e se il concetto è particolarmente complesso può essere utile ricorrere a una serie di brevi asserzioni che, unite insieme, esplicano il concetto che voglio trasmettere.
Con la parola scritta è più facile perché posso ricorrere a subordinate, ricordandomi, però, di non farne un uso eccessivo altrimenti il concetto si perde in una inutile marea di dati. L'altro vantaggio della parola scritta è dato dal fatto che posso rileggere e quindi curare la forma; tutto quello che è segno tangibile può essere controllato e rivisto, prima della sua diffusione, in modo che il messaggio che voglio veicolare sia chiaro ed evidente.
Quando leggo uno scritto e noto che la punteggiatura è sbagliata, la forma è terrificante, la consecutio è non pervenuta, i verbi sono scelti a caso e le parole vengono scelte solo in base alla loro diffusione, così ci si dà un tono da intellettuali che fa figo, e non per il loro senso, mi rendo conto che chi scrive deve tornare alle elementari; smetto di leggere e vado a contarmi i pori della pelle.
Potrebbe essere una provocazione, ma che io arrivi o meno in fondo allo scritto è irrilevante; il messaggio provocatorio è chiaro sin dalle prime righe. Sarò anche ben disposto di fronte a una provocazione del genere se l'autore dimostra, in altre circostante, la conoscenza del mezzo espressivo, la scrittura, che ha scelto.
Anche la provocazione, pur essendo anticonvenzionale per definizione, è sottoposta a convenzioni precise; la sua reiterazione la priva di significato e se chi la esegue non dimostra una conoscenza del mezzo di espressione, l'autore si dimostra un analfabeta.
Diventa come quelle persone che sanno parlare di un unico argomento, con un frasario da far venire un colpo apoplettico ad ogni alfabetizzato nell'arco di cento metri, e che per queste doti vengono rapidamente abbandonate a loro stesse.
La conoscenza del mezzo espressivo e la capacità di utilizzarlo a modo, sono alla base del successo della comunicazione.
Questa era la premessa.
Di recente ho letto in un libro, a proposito dell'arte contemporanea, che la capacità tecnica non è indispensabile per qualificare un'opera d'arte, ma che il criterio da usare per discernere tra croste immonde e opere d'arte è il fatto che queste ultime sono dotate di un anima, qualità che alle croste manca.
Un metro oggettivo insomma, un po' come dire "mi piace, non mi piace"... èh, già.
Questa cosa non l'ha detta proprio un cretino, ma un critico d'arte diffusamente pubblicato; non che la pubblicazione sia di per sé garante di qualità, ma è indice di quanto un messaggio può essere diffuso e favorevolmente accolto dal pubblico.
L'arte, intesa non nella sua forma di scritto ma di opera sia essa architettonica, plastica, pittorica o performance, è una forma di comunicazione come le altre e sottostà alle stesse identiche regole.
Se fallisce nel comunicare, se fallisce come provocazione, se è fatta da analfabeti, ovvero da persone che non conoscono il mezzo che utilizzano, quale diviene la sua funzione? un costoso ciàpapòra** e un supponente riempi-tempo?
Se qualifico come ignorante un autore che è incapace di scrivere in un italiano almeno in parte comprensibile, che non sa usare la sua lingua madre, perché dovrei definire "genio" chi non è in grado di fare una "o" con un bicchiere e che necessita di una ventina di righe di testo scritto per spiegare quanto voleva comunicare con la sua opera?
Pare ch'io ce l'abbia con l'arte contemporanea e di certo non posso negarlo, ma è così perché la ritengo un fallimento comunicativo incoerente e supponente.
Pace per l'incoerenza, la diversità cacofonica può essere anche pregio, ma la supponenza e l'incapacità di comunicare sono difetti troppo vistosi per essere ignorati.
Continuerò a cercare di capirla, anche se al momento i casi sono due:
1) si tratta di una mia oggettiva difficoltà di comprensione data da una eccessiva rigidità mentale in questo ambito e se così fosse, comunque, non mi sento limitato;
2) è davvero inutile e nel qual caso, come per il primo, non mi sto perdendo granché.
Devo dire che non ostante l'abbia studiata a scuola, sia andato a svariate mostre, abbia letto numerosi volumi in argomento, l'unica validità che le riconosco, a parte l'aspetto economico che è indubbio, è quella di continuare ad incuriosirmi.
Confesso però che lo sforzo di comprensione lo compio solo come ginnastica, perché per ora l'oggetto di tale sforzo si è dimostrato indegno del tempo speso per comprendere; manterrò giovane il cervello... almeno lui.
Tanto per chiarire: arrivo a considerare "arte" tutto quanto prodotto sino alle avanguardie, inizio a storcere il naso con gli anni '50, a volte l'immediato dopoguerra e mi insospettisce, in modo certo, tutta la produzione dagli anni '70 in avanti.
Posso essere qualificato come una "cariatide figurativa".

*"tiréma inans": andiamo avanti
**"ciapapòra": prendipolvere

Nessun commento: