giovedì 17 novembre 2011

Vecchio

Visto che qua si ha un'età, tanto vale parlarne.
La prima volta che ti danno del "lei" fa un po' senso, un po' perché ti pare di aver lasciato i vent'anni dietro l'angolo, anche se non ti ricordi esattamente quale, e un po' perché chi ti ha dato del "lei" aveva al'incirca dodici anni e quindi non ci dài troppo peso; è pur sempre un putén e quindi è giusto che dia del lei a chi è più grande.
Il fatto di venire consideranto un infante, non ostante i quarant'anni che ti tiri a dietro, dagli anziani del paese non conta; sei sempre stato considerato tale da loro e quindi non fanno testo.
Tornare a casa alle quattro, o alle sei, del mattino e avere bisogno di almeno una giornata, comprensiva di nottata, passata a dormire per assumere una conformazione vagamente umana, non è un segnale significativo; ci si può sempre arrampicare su un qualche specchio e dire che in fondo si lavora e quindi si è più stanchi e bla... bla... bla... un po' di sano mirror climbing insomma.
Anche il fatto di doversi avvoltolare nella lana per non prendere freddo alla spalla, al collo e a una qualunque altra articolazione, per non rischiare il blocco della medesima, non è un segnale sufficiente a farti capire che hai una età. Se si vive in pianura padana, con l'umido lussureggiante che la contraddistingue, si possono avere i reumatismi sin dalle elementari.
Quello che ti fa capire, al di là di ogni ragionevole dubbio, di essere diventato, se non vecchio, almeno stagionato è quando inizi a non capire i putén.
Loro parlono e le tue sopracciglia iniziano a confondersi con l'attaccatura dei capelli; non capisci la metà delle parole e non ti pare neppure italiano l'idioma che essi usano.
Cammini per la strada e squoti il capo incredulo per come questi putén vanno in giro vestiti, criticando anche i genitori, che probabilmente hanno la tua età, perché li mandano in giro così conciati e a stento reprimi la voglia di rifilare loro una pedata nel lato B, giusto per indurli a chinarsi e a tirarsi su le braghe.
Inevitabilmente inizi a pensare a quando tu avevi sedici anni, o giù di lì e nell'attimo in cui arrivi al "quando ero giovane io saltavo i fossi per il lungo", ti rendi conto di essere approdato alla zona luogo comune.
Non ci sono più le mezze stagioni.
Si stava meglio quando si stava peggio... anche se adesso non è che proprio si facciano grasse risate.
Il nuoto è uno sport completo.
Sono sempre i migliori che se ne vanno.
Di mamme ce n'è una sola.
Son tutte belle le mamme del mondo... sà; sulle mamme ce ne sono tre ditemi anche l'ultima così la chiudiamo.
Non bisogna vivere questo momento in modo traumatico, anzi, bisogna assaporarne i frutti; si può espettorare un po' di sarcasmo e veleno, che a tenerlo dentro fa male, con cognizione causa. In fondo ci siamo passati tutti nell'adolescenza e guardare ai putén adesso, ci serve anche a capire quanto cretini eravamo noi alla loro età e questo può aiutarci a guardare al gioviname con un po' più di comprensione; questo non vuol di certo dire trattenere il sarcasmo o i commenti acidi, certe cose è meglio buttarle fuori perché a tenerle dentro fanno male.
D'altronde intelligenza e adolescenza, per quanto facciano rima, non sono proprio parenti stretti; il dramma è quando l'adolescenza si protrae sino alla senescenza...

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