venerdì 5 ottobre 2012

Anacronismo

Sono sicuro che s'è capita la mia, per nulla nascosta, fascinazione per Bisanzio.
No? I miei manzoniani lettori, la maggior parte dei quali vedo e frequento con assiduità, sono stati abbondantemente annoiati con Bisanzio, le icone, l'arte bizantina e via discorrendo; mentre per quei pochi che non vedo e che conosco solo grazie alla rete, hanno avuto la loro dose di noia leggendo un mio sproloquio, ogni tanto, a tema in questa selva di bit.
Ecco; questo post non sarà diverso, per la maggior parte parlerà di Bisanzio; ma sarà breve.
Lettore avvisato...

Tutto questo per dire che sebbene siano passati solo 559 anni dalla caduta di Bisanzio, io non sono ancora riuscito a metabolizzare l'evento.
No, dico... manco avessi vissuto di persona gli eventi del maggio di quel lontano episodio; eppure ogni volta che ci penso, mi viene male.
Che poi, diciamocelo, non è che Maometto II e il suo esercito, e i loro tre giorni di saccheggio, dei quali Maometto si pentirà per altro, siano stati peggiori della quarta crociata e delle mire del novantenne Dandolo che di pentirsi non l'aveva manco per i piedi*.
Venezia però, probabilmente perché figlia, anche se spesso "tenia" la definirebbe meglio, di Bisanzio non mi ha mai indotto la distanza che ho sempre tenuto nei confronti dell'Impero Ottomano; vittima di una pessima campagna settecentesca che ha preso anche me...vi sto ponendo rimedio, o almeno ci provo.
Venezia l'ho sempre vista come un pezzo d'Esarcato in Italia, e poi la città lagunare ha San Marco, la chiesa di Torcello; di bizantino a Bisanzio c'è rimasto pochino e spesso le autorità non ci tengono particolarmente a mantenere quanto lasciato dalla Roma d'oriente.
Povera Bisanzio; bistratta in occidente, passata nella lingua italiana solo come sinonimo di cavillosità, ricordiamoci che erano figli della burocrazia romana, manco in oriente se la passa bene.
Tra l'altro la bizantinite si è incancrenita solo in quest'ultimo decennio; prima avevo molti altri interessi, e probabilmente ne arriveranno altri, che al momento permangono un po' isolati.
A essere obiettivi il tutto deriva da due cose: Bisanzio, in sé, è una parola con un suono bellissimo e bizantino è parimenti mirabile; e il mosaico, il fondo dorato e il ricorrere a dei tipi nella rappresentazione artistica, crea una fortissima suggestione.
Si, lo ammetto, le immagini bizantine, specie man mano che le influenze naturalistiche vanno perdendosi, sono un po' statiche, piattine, ma sono un bellissimo preludio all'astrazione, alla rappresentazione di concetti attraverso segni evocativi figurativi, il cui compito è quello di rendere chiaro, lapalissiano, gli esempi che comunicano.
Il Rinascimento in Italia non sarebbe mai potuto essere possibile senza Bisanzio, anche se non sarebbe mai potuto nascere nella nuova Roma.
Compare di Bisanzio è l'Egitto; l'importanza dell'Egitto è sempre trascurata, lo si riduce a un racconto biblico, specie quando ripassano i "Dieci comandamenti", a un paio di faraoni, di grande attualità Tutankhamon, perché le cose che sbarlusegano piacciono a noi gazze, e più niente.
Chi se ne frega di Hatshepsut che conversava alla pari con il re Hittita, o del ruolo della donna nella civiltà egizia.
Del fatto che la scultura egizia abbia influenzato gli esordi della statuaria greca e che, pur nella sua ieraticità, abbia avuto elementi di realismo tali che bisognerà attendere l'ellenismo per ritrovarli in una statua, non si parla; artisticamente parlando l'Egitto è considerato un po' come l'espressione artistica di gente poco dotata.
Non hanno inventato la prospettiva come rappresentazione, perché non avevano alcun motivo di farlo; la rappresentazione seguiva regole diversa dall'osservazione naturale.
Tendiamo anche a dimenticare che l'Egitto, persino per i greci, era sinonimo di antichità e quindi di autorevolezza e che i greci, per darsi un tono di rispettabilità, decisero di far passare le divinità egiziane per divinità greche.
Noi non siamo il vertice di una piramide evolutiva, sia come specie che come cultura, e non possiamo permetterci di guardare agli altri come dei poveri sottosviluppati; esigenze e possibilità diverse, danno luogo ad adattamenti diversi tutti vertici evolutivi di quell'ambiente specifico.
Convenientemente dimentichiamo popoli e culture scomode perché ci piace essere etnocentrici; siamo egoisti persino come etnia.
E' solo nella contemporaneità che possiamo fare paragoni e fornire stimoli affinché vengano autonomamente elaborati, metabolizzati e interiorizzati; le imposizioni sono fallimentari.

*manco per i piedi: esattamente non so da dove arrivi, ma vuol dire "non avere assolutamente intenzione"

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