La mia vita segue una routine abbastanza precisa, scossa da pochi eventi perturbatori; a parte i fine settimana che, ovunque io vada, sono passati con gli amici, durante la settimana il mio esistere è scandito da i ritmi lavorativi e non potrebbe essere altrimenti dato che passo qui dentro, in studio, cinque giorni su sette.
Arrivo poco prima delle otto, accendo i computers e il riscaldamento, o apro le finestre se è estate, poi arriva la mia collega con la quale scambio un poco di chiacchiere e inizio a produrre.
Intervallo il lavoro con lo scrivere sul blog, se ho idee e tempo, leggere i blog altrui, brevi incursioni sul faccia libro, qualche chiacchiera con amici on line; tutte cose che non mi impediscono di finire sempre per tempo i compiti che mi vengono assegnati, perché sono subordinate al tempo a mia disposizione e all'urgenza dei vari lavori assegnatimi.
Sono molto rapido nel mio lavoro.
I momenti migliori sono quando il capo non c'è, ovviamente, perché non vengo interrotto di continuo e posso procedere, come una locomotiva, dritto verso la meta; con uno stile più da "ferrovie giapponesi" che non da "ferrovie italiane".
Da quando c'è il praticante esco da questo studio esaurito.
Capitava anche prima, specie al venerdì, che la lasciassi demolito la scrivania e ricercassi un po' di ristoro nell'ambiente domestico, specie quando dovevo lottare con l'Idra della Scheda del Male, ma da quanto ho lui è come se tutti i giorni avessi una testa della malefica Scheda da affrontare.
Dalle nove alle diciotto e trenta, o poco dopo perché se ne va sempre prima dell'orario di chiusura, cosa che se da un lato mi fa piacere, dall'altra mi induce a pensare a una scarsa dedizione al lavoro, è un continuo chiedermi qualcosa e spesso le domande sono talmente cretine che rimango basito e incredulo sulla mia sedia
Gli vengono dati dei documenti da scrivere in prevalenza, perché abbiamo sempre relazioni da redarre, da correggere, documentazione da integrare, risposte da dare, e il capo scrive tutto a mano e passa a lui i fogli per scriverli con il computer e lui, ogni tre per due, è qui da me a chiedermi "cosa c'è scritto", a volte anche due o tre volte per la stessa, identica parola; proprio quella della quale mi ha chiesto una traduzione pochissimi minuti prima.
Sino a qualche giorno fa fornivo la traduzione per liberarmene il prima possibile, anche perché odorando come un posacenere non lavato da un paio di mesi e usato di frequente, non mi fa piacere averlo a portata di nari, ma da qualche tempo ho deciso di mettere alla prova i suoi neuroni; rileggo la parte prima della parola che non ha capito, la parte dopo e gli chiedo di completare, dicendogli che, palesemente, la parola mancante sarà... e attendo da lui una risposta, vedo gli ingranaggi dei neuroni che grippano, bloccati da strati decennali di ruggine e lui spara una parola a caso incurante che questa possa non significare nulla nel contesto.
Allora inizio la sillabazione della parola mancante e gli dico la prima sillaba, aspettandomi che lui la completi correttamente, ma niente; altra parola a caso sparata senza un minimo di cognizione... e tutto questo per ogni singola parola che non capisce, anche se magari questa si ripete identica qualche riga più avanti e a volte torna per chiedermi nuovamente la stessa parola, perché si è dimenticato la traduzione.
"Vieni qui; leggiamo: lungo il confine saranno abbattuti alcuni -incomprensibile- e ripiantati dopo i lavori. Di cosa starà parlando?"
"fini"
"fini??? ma tu pianti i fini sui confini??? hai mai sentito parlare degli alberi della specie dei fini?? O avrà più senso pini?"
Ed è sempre così, ogni volta.
Legge e non capisce il senso di quello che legge, scrive e non capisce cosa sta scrivendo, non rilegge e non fa alcuno sforzo di comprensione, ha l'elasticità mentale di un blocco di ghisa.
Vi garantisco che la sera, quando esco di qui, sono stremato.
Nessun commento:
Posta un commento