Sono un mediocre, perché pessimo mi pare eccessivo, giocatore di scacchi; per quanto mi possa piacere giocarci, non ho mai nessuno con cui farlo e il risultato è che non sono particolarmente bravo.
In compenso sono abbastanza bravo con la dama italiana, ma divago e torno agli scacchi.
Quando faccio una partita a scacchi incontro sempre il "momento", cioè quell'attimo nel quale mi rendo conto che se sbaglio una determinata mossa perderò la partita.
Sovente, pur sapendo di combinare una scemenza disumana, faccio proprio la mossa sbagliata; un po' perché riconosco il momento, avverto il pericolo, ma non mi rendo conto da quale parte arriva, e un po' perché dopo aver preso coscienza di questo momento topico nella partita, me ne dimentico.
Ho pur sempre la memoria di un carasside; tre secondi.
Se la concentrazione tiene, mi rendo conto dei vari pericoli ed evito di mandare in vacca la partita e di perdere anche i calzini; ovviamente non scommetto mai, ma quando perdo a scacchi, in genere, lo faccio in modo stupido... chissà, magari lo faccio anche per farmi due risate.
Perdere fa bene, anche quando ci si è impegnati sino al midollo e si ha corso come una locomotiva, dritti, verso la meta; e fa bene perché ci insegna che alla fine della fola c'è sempre qualcuno più furbo di noi, che il tempo corre, ha da fare e non può mica stare ad aspettare te che pitocchi in giro, la vita è breve e che se le galline attraversano la strada non sono affari tuoi.
Questa cosa del più furbo è poi relativa; a volte siamo noi quelli più furbi e a volte, siamo quelli cretini, dato che non si può sapere tutto è normale che sia così.
In una conversazione non ho mai avuto la percezione di un "momento" come negli scacchi, perché del resto parlare con qualcuno non è un processo strategico, eppure ci sono momenti peculiari che se gestiti male, non causano perdite, ma fanno scendere un imbarazzo generale.
Esistono persone con un dono: quello di aprire bocca solo per dire le peggiori scemenze del creato, o raccontare le cose più imbarazzanti mai avvenute, senza per altro rendersene conto; anzi a volte raccontano queste cose andandone anche fiere, o pensando di aver fatto la battuta del secolo.
Non capiscono la differenza tra umorismo e imbarazzo, tra cose che si possono dire e condividere e cose che è meglio tenere per sé.
Il meglio di tutto ciò è che manco si rendono conto di aver vinto il premio imbarazzo dell'anno dicendo quanto di meno appropriato era possibile dire in una data circostanza.
Alcuni di questi individui, proprio per non farsi mancare nulla, abbondano anche in saccenteria e condiscendenza, creando una miscela tale da riuscire ad allontanare chiunque nel giro di pochissimo tempo; taluni sono talmente pieni di sé da non capire, non ostante la vita ci si metta anche d'impegno a distribuire loro badilate, dagli errori commessi perché convintissimi di avere sempre ragione.
Mentre dispensano quanto non richiesto, vien da pensare come sia possibile per loro stare nella stessa stanza con l'ego e tenere le finestre chiuse; se non altro l'ego ingombrante fa caldo e un sacco di compagnia, anche perché, tendenzialmente, è l'unica compagnia che potranno mai avere.
Tutto questo per dire è che se a volte l'uditorio scappa, non è perché è insensibile, ma perché preferisce fare qualcosa di più costruttivo che partecipare a uno sfoggio di inappropriate battute, aneddoti, domande o profusione di non richieste perle di saggezza.
L'umiltà serve, perché da essa ci arriva l'autoironia senza la quale ci prederemmo troppo sul serio e faremmo una vista miserrima.
Abbiamo sempre tre giorni da stare al mondo; tanto vale goderseli senza pesi inutili.
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