"Now my charms are all o'erthrown,
And what strength I have's mine own,
Which is most faint: now, 'tis true,
I must be here confined by you,
Or sent to Naples. Let me not,
Since I have my dukedom got
And pardon'd the deceiver, dwell
In this bare island by your spell;
But release me from my bands
With the help of your good hands:
Gentle breath of yours my sails
Must fill, or else my project fails,
Which was to please. Now I want
Spirits to enforce, art to enchant,
And my ending is despair,
Unless I be relieved by prayer,
Which pierces so that it assaults
Mercy itself and frees all faults.
As you from crimes would pardon'd be,
Let your indulgence set me free."
("la Tempesta"... non penso vi sia bisogno di specificare altro)
Oggi va così e non va neppure male, ma resta sempre qualcosa di incompiuto, diviso e spesso lacero, che non può essere riunito e le tensioni permangono quelle di sempre; vi sono cose che possiamo migliorare e, forse, persino cambiare, ma altre ci definiscono per quel che siamo e non possono essere colmate.
A volte le cose sono tenute e bada da non so bene quale artificio, anche perché, affinché sia sentito, ciò che ci agita non può durare per tutto il corso della nostra vita; come un mantice abbisogna di momenti nei quali respirare, prendere fiato e poi ripartire.
L'abitudine ottunde qualunque cosa e la singolarità ne è egualmente vittima.
Il trucco consiste nel capire che siamo un insieme di singolarità, ognuna unica, singola appunto, e che la media, la norma, è un utile concetto che ha poco a che vedere con l'individuo e il proprio tempo.
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