Interlocutore: "Salve, sono della Luce e vorrei parlare con un titolare"
Io: "di che cosa è che ha bisogno?"
Int: "la chiamo per delle informazioni riguardo la luce"
Io: "allora può parlare con me"
Int: "io devo parlare con un titolare perché prende decisioni per gli appuntamenti"
Io: "no; può parlare con me o parlare con nessuno. Veda lei"
Int: "non è così che si fa..."
Io: "è proprio così che si fa. Cosa vuole fare? Parla con me?"
Int: "richiamerò"
Bravo; richiama invano... sempre da me devi passare perché io rispondo al telefono e di nuovo gli spiegherò che o parla con me, oppure parla da solo.
venerdì 28 ottobre 2011
mercoledì 26 ottobre 2011
Quel che non so
Le cose che ignoro sono innumerevoli e, in quanto tali, non posso certo farne un elenco. Come molti altri, sono in buona compagnia, non posso fare tutto da solo perché alcune cose richiedono conoscenze che non ho. Un po' di umiltà e' assolutamente necessaria per riconoscere i propri limiti: alcune cose possono essere fatte da soli, per altre ci vuole una mano affinché sia possibile conseguire un certo risultato e altre cose sono oltre le nostre capacita' e abbiamo bisogno di qualcuno che ci dica come fare.
Un campo del quale ho solo conoscenze marginali e' la fotografia, quindi se volessi fare qualcosa di più che premere un bottone, dovrei sentire qualcuno che possa consigliarmi in merito: sentirò quindi la mia amica Filomena (nome assolutamente inventato).
Filomena mi consigliera' come fare parlandomi di obbiettivi, di fuoco, di esposizione e altre cose che ignoro. Pur avendo una formazione artistica se voglio migliorare le mie capacita' nel ramo fotografico, dovrò seguire pedissequamente i consigli di Filomena in modo da poter apprendere le basi e poi su queste trovare una mia via; in questo modo imparerò qualcosa di nuovo. Del resto quando non si sa fare una cosa non c'e' nulla di meglio che farsi spiegare da chi ne sa di più, che non necessariamente deve avere più anni. Alcuni pero' cercano aiuto con un secondo fine perché commettono un errore di valutazione. Si ritengono già in grado di saper fare, anche se si tratta della prima volta che compiono una data azione, e chiedono aiuto solo perché ambiscono a sentirsi dire quanto sono bravi, o a sentirsi dire che e' proprio come hanno fatto loro che si fa. In questo modo si ottiene un risultato prevedibile : verremo aiutati per un po' ma poi non troveremo più nessuno disposto ad ascoltarci. Chi vorrebbe del resto avere a che fare con qualcuno convinto di aver sempre ragione? Questo ragionamento funziona anche sul piano psicologico; alcune cose possiamo cambiarle da soli, per altre abbiamo bisogno di un appoggio e per alcune, quelle delle quali non riusciamo proprio venirne a capo, ci serve qualcuno che ci indichi la via. Anche in questo campo ci vuole l'umiltà di saper ammettere i propri limiti, di capire che non si può sempre aver ragione; del resto c'e' sempre qualcuno più bravo, sveglio o intelligente di noi... Perché quindi non approfittare delle conoscenze di chi e' già arrivato dove vogliamo essere anche noi?
Un campo del quale ho solo conoscenze marginali e' la fotografia, quindi se volessi fare qualcosa di più che premere un bottone, dovrei sentire qualcuno che possa consigliarmi in merito: sentirò quindi la mia amica Filomena (nome assolutamente inventato).
Filomena mi consigliera' come fare parlandomi di obbiettivi, di fuoco, di esposizione e altre cose che ignoro. Pur avendo una formazione artistica se voglio migliorare le mie capacita' nel ramo fotografico, dovrò seguire pedissequamente i consigli di Filomena in modo da poter apprendere le basi e poi su queste trovare una mia via; in questo modo imparerò qualcosa di nuovo. Del resto quando non si sa fare una cosa non c'e' nulla di meglio che farsi spiegare da chi ne sa di più, che non necessariamente deve avere più anni. Alcuni pero' cercano aiuto con un secondo fine perché commettono un errore di valutazione. Si ritengono già in grado di saper fare, anche se si tratta della prima volta che compiono una data azione, e chiedono aiuto solo perché ambiscono a sentirsi dire quanto sono bravi, o a sentirsi dire che e' proprio come hanno fatto loro che si fa. In questo modo si ottiene un risultato prevedibile : verremo aiutati per un po' ma poi non troveremo più nessuno disposto ad ascoltarci. Chi vorrebbe del resto avere a che fare con qualcuno convinto di aver sempre ragione? Questo ragionamento funziona anche sul piano psicologico; alcune cose possiamo cambiarle da soli, per altre abbiamo bisogno di un appoggio e per alcune, quelle delle quali non riusciamo proprio venirne a capo, ci serve qualcuno che ci indichi la via. Anche in questo campo ci vuole l'umiltà di saper ammettere i propri limiti, di capire che non si può sempre aver ragione; del resto c'e' sempre qualcuno più bravo, sveglio o intelligente di noi... Perché quindi non approfittare delle conoscenze di chi e' già arrivato dove vogliamo essere anche noi?
Cinque libri
Ed eccoci al giorno di pioggia nel quale attingo a questa idea e la copio brutalmente per un post.
Certo potrei narrarvi del sogno di stanotte nel quale un me stesso alto otto metri, o su di lì, camminava per la città sulle note de la marcia imperiale di Star Wars, ma visto che i miei sogni abbondano in questo accumulo di bit, non mi pare il caso di dilungarmi nella narrazione.
Le mie doti di scrittore sono tutto sommato risibili; la mia unica prova decente è un racconto breve, scritto in forma di diario, con protagonista la Cesira e le clienti ritardatarie del suo salone di bellezza. Forse un giorno lo metterò anche qua.
Scrivo solo qui sul blog e di certo queste righe non possono considerarsi pezzi di elevata, ma neppure bassa, letteratura, ma mi piace leggere e quindi qualora la scrittura fosse il mio mezzo di espressione enumero i cinque libri che avrei voluto scrivere:
"Iliade"
"Odissea"
Ho sempre amato la mitologia greca e queste narrazioni sono una perfetta commistione tra eventi reali e mitologia; le ho sempre adorate.
"Il nome della rosa"
perché ho amato il terreno teologico e filosofico nel quale si sviluppa il romanzo
"rinascimento privato"
o un qualunque altro libro di Maria Bellonci, perché adoro il suo registro lessicale e il suo stile
"il fu Mattia Pascal"
perché mi hanno sempre affascinato le premesse del romanzo.
Certo potrei narrarvi del sogno di stanotte nel quale un me stesso alto otto metri, o su di lì, camminava per la città sulle note de la marcia imperiale di Star Wars, ma visto che i miei sogni abbondano in questo accumulo di bit, non mi pare il caso di dilungarmi nella narrazione.
Le mie doti di scrittore sono tutto sommato risibili; la mia unica prova decente è un racconto breve, scritto in forma di diario, con protagonista la Cesira e le clienti ritardatarie del suo salone di bellezza. Forse un giorno lo metterò anche qua.
Scrivo solo qui sul blog e di certo queste righe non possono considerarsi pezzi di elevata, ma neppure bassa, letteratura, ma mi piace leggere e quindi qualora la scrittura fosse il mio mezzo di espressione enumero i cinque libri che avrei voluto scrivere:
"Iliade"
"Odissea"
Ho sempre amato la mitologia greca e queste narrazioni sono una perfetta commistione tra eventi reali e mitologia; le ho sempre adorate.
"Il nome della rosa"
perché ho amato il terreno teologico e filosofico nel quale si sviluppa il romanzo
"rinascimento privato"
o un qualunque altro libro di Maria Bellonci, perché adoro il suo registro lessicale e il suo stile
"il fu Mattia Pascal"
perché mi hanno sempre affascinato le premesse del romanzo.
lunedì 24 ottobre 2011
Creature
Credo si sia capito, anche grazie ai vari post, indizi e quant'altro sparso per il blog, che io dipingo; l'immagine del profili, lì a destra, l'ho fatta io e fa parte di un quadro abbastanza grande.
Nulla di particolarmente strabiliante; sono cosciente dei limiti del mio talento, per cui non tendo all'autocelebrazione, ma ritengo di aver creato, nel tempo, pochi quadri belli, molti validi, alcuni guardabili e pochi, per fortuna, imbarazzanti e francamente impresentabili.
Il mio massimo periodo creativo è avvenuto appena finito l'Istituto d'Arte; ero capace di dipingere una creatura ad ogni settimana. Col tempo la produzione si è rallentata e da alcuni anni produco una creatura con cadenza annuale. Ho fatto anche un simpatico periodo di crisi creativa, panico da foglio bianco, mi sono anche chiesto se avessi ultimato le cose da dire, mi sono anche trovato ripetitivo e inaridito.
Finito il boom iniziale ho rantumato nel fondo per svariati anni. Attualmente pare che qualcosa si stia muovendo anche su questo fronte, ma è molto faticoso.
Ricordo che agli inizi mi bastava avere un foglio davanti per disegnare qualcosa, anche di complesso e scoprire un senso nell'opera finita; non dovevo pensare a nulla, mi bastava anche una vaghissima suggestione o una digestione importante.
Adesso devo prima elaborare l'idea, ricercare i riferimenti iconografici, pensare alla composizione e tutto questo processo può impiegare un tempo variabile da qualche mese a qualche anno; alla fine c'è l'esecuzione materiale dell'opera che può impiegare svariati mesi a seconda della durata delle ferie di madonna Ispirazione.
Non che nel frattempo non dipinga o non disegni, ma sono tutte cose minute, piccoli formati, con una striminzita, quando nulla, idea portante; niente di particolarmente soddisfacente il più delle volte.
Inoltre sto subendo una acutizzazione degli aspetti più baracconi, barocchi e sbarluseganti, del mio gusto decorativo.
Probabilmente sto cercando di reinventare, inconsciamente, la mia tecnica per adeguarla alle mie nuove, visto che la mia tecnica è stata elaborata circa vent'anni fa, idee e al mio nuovo modo di sentire e percepire il mondo; il processo in sé non è male, ma sta durando da una eternità e sarebbe carino che finisse in tempi brevi... o quantomeno in tempi utili, il tempo passa e mica divento più giovane.
Nulla di particolarmente strabiliante; sono cosciente dei limiti del mio talento, per cui non tendo all'autocelebrazione, ma ritengo di aver creato, nel tempo, pochi quadri belli, molti validi, alcuni guardabili e pochi, per fortuna, imbarazzanti e francamente impresentabili.
Il mio massimo periodo creativo è avvenuto appena finito l'Istituto d'Arte; ero capace di dipingere una creatura ad ogni settimana. Col tempo la produzione si è rallentata e da alcuni anni produco una creatura con cadenza annuale. Ho fatto anche un simpatico periodo di crisi creativa, panico da foglio bianco, mi sono anche chiesto se avessi ultimato le cose da dire, mi sono anche trovato ripetitivo e inaridito.
Finito il boom iniziale ho rantumato nel fondo per svariati anni. Attualmente pare che qualcosa si stia muovendo anche su questo fronte, ma è molto faticoso.
Ricordo che agli inizi mi bastava avere un foglio davanti per disegnare qualcosa, anche di complesso e scoprire un senso nell'opera finita; non dovevo pensare a nulla, mi bastava anche una vaghissima suggestione o una digestione importante.
Adesso devo prima elaborare l'idea, ricercare i riferimenti iconografici, pensare alla composizione e tutto questo processo può impiegare un tempo variabile da qualche mese a qualche anno; alla fine c'è l'esecuzione materiale dell'opera che può impiegare svariati mesi a seconda della durata delle ferie di madonna Ispirazione.
Non che nel frattempo non dipinga o non disegni, ma sono tutte cose minute, piccoli formati, con una striminzita, quando nulla, idea portante; niente di particolarmente soddisfacente il più delle volte.
Inoltre sto subendo una acutizzazione degli aspetti più baracconi, barocchi e sbarluseganti, del mio gusto decorativo.
Probabilmente sto cercando di reinventare, inconsciamente, la mia tecnica per adeguarla alle mie nuove, visto che la mia tecnica è stata elaborata circa vent'anni fa, idee e al mio nuovo modo di sentire e percepire il mondo; il processo in sé non è male, ma sta durando da una eternità e sarebbe carino che finisse in tempi brevi... o quantomeno in tempi utili, il tempo passa e mica divento più giovane.
venerdì 21 ottobre 2011
Fonti di irritazione
Qualche post fa, forse uno, parlavo di percorsi e comportamenti che teniamo con frequenza lungo il corso del tempo; vi sono anche cose che negli anni mantengono inalterata la loro capacità di farci perdere Trapezunte e tutto il resto... poi spiego la ragione di questo post.
Personalmente sono tre, più un'aggiunta in misura minore, le cose che mi fanno decidere tirare dritto per la strada e abbandonare al loro destino le persone.
1) Mai dirmi chi devo o non devo frequentare.
Per quanto riguarda la scelta delle persone da frequentare ritengo valido un unico parere: il mio. Ogni altro parere in essere può essere esposto come opinione, ma non bisogna mai dirmi "quella/o non devi frequentarla/o" o "é meglio che non la/o vedi più". I miei amici e le persone che frequento possono essere ampiamente sottoposte a critiche se è il caso, ma non accetto ordini in argomento.
Nella mia vita è capitato tre volte che qualcuno mi abbia detto una cosa del genere.
Il primo fu mio padre e all'epoca dovevo obbedirgli, ma visto che ritenevo il mio giudizio migliore del suo, ho solo fatte salve le apparenze e ho continuato imperterrito a vedere la persona sottoposta a censura; questa persona la vedro ancora oggi dopo più di vent'anni.
La seconda volta è accaduto alle superiori; un paio di miei compagni di classe decisero che avrei dovuto smettere di frequentare una delle mie poche amiche, quando lo sono venuto a sapere ho mollato l'infelice duo, che per inciso condividevano una mezza arachide nella scatola cranica, ricordo con orrore le ripetizioni di storia, e ho continuato a vedere la mia amica; dopo più di vent'anni, non ostante alcuni incidenti di percorso dei quali parlerò più avanti, continuo a vedere questa persona regolarmente.
La terza volta è stata in qualche misura più grave. All'epoca della scuola superiore le mie amicizie ammontavano a circa tre persone, due sono le persone nominate sopra sottoposte a censura da terzi, e l'altra era una ragazza, che per comodità di narrazione chiamerò H, che ho continuato a vedere per molti anni dopo la scuola superiore e che mi ha aiutato, sotto molti aspetti, ad aprire qualche porta nelle turrite mure che mi circondavano. In un periodo un po' travagliato della nostra amicizia, l'episodio è stato l'inizio del tramonto, avevo iniziato a vedere una persona, conosciuta tramite un'altra amica, ed H mi disse :"anche lei però... guarda stai attento; non dovresti uscire con lei". La cosa mi lasciò stercofatto perché H ed io ci conoscevamo, all'epoca, da almeno una decina d'anni e credevo avesse imparato che vi sono cose che mi fanno alzare gli scudi e armare i siluri fotonici (la nerdezza non può mai essere abbandonata).
Il risultato di questa infelice frase, concausa di altri fattori, è stato che H non la vedo più da almeno nove anni, mentre l'altra persona, che ora è felicemente accasata, continuo a vederla.
2)Mai tirarmi per la giacchetta.
E' assolutamente lecito che le persone si sfoghino con me raccontandomi i fatti che le travagliano, esprimendo anche opinioni poco lusighieri su amici, o conoscenti, comuni, ma in una lite tra persone che conosco e riguardante fatti ai quali non sono stato presente, non mi si deve mai chiedere di schierarmi per l'una o per l'altra.
Chi viene a tirarmi per la giacchetta chiedendo il mio appoggio viene immediatamente silurato senza tante cerimonie e riguardi di alcun genere. Ho commesso una volta l'errore di sposare acriticamente una causa, senza aver partecipato direttamente agli eventi, e il Cosmo mi ha permesso di rimediarvi e da allora non intendo ripetere lo stesso sbaglio.
Posso fornire conforto e qualche consiglio, ma non prenderò posizione e insistere affinché io mi schieri vuol dire perdermi.
3)Mai obbligarmi a farmi fare cose che non voglio fare.
Una volta ero decisamente più insicuro ed ero più propenso a piegarmi a fare cose controvoglia, ma poi opponevo resistenza passiva. Il processo di resistenza passiva è però fonte di stress, tensioni e in generale si sta male in itinere, specie quando si fanno le cose perché le circostanze, per far salve delle amicizie, ce lo impongono.
Certo, alcune cose, volente o nolente, le devo fare per il mio bene e se le faccio è perché mi rendo conto che mi serve farle; per cui mi forzo a farle, ma basta darmi un po' di tempo per farmi capire che è necessario ch'io faccia qualcosa, anche controvoglia, perché io ci rifletta sopra e la faccia. Negarmi i miei tempi è gravissimo; mi fa andare tutto di traverso e poi io mi pianto sulle mie posizioni e divento inamovibile.
Non starò a raccontare tutta la rava e la fava, ne verrebbe fuori una gamba inutile, ma H era coinvolta; basti sapere che da allora insistere nel farmi fare qualcosa che non voglio fare, equivale a farsi mollare come un piccione in una grondaia a dicembre.
L'aggiunta è un corollario alla terza fonte di irritazione massima, ma è meno grave delle precedenti, anche se la reiterazione le procura una promozione immediata:
4)Non obbligarmi a vedere persone sulle quali ho espresso dubbi e che non mi piacciono.
A lungo andare assocerò la persona irritante con colei, o colui, che è all'origine dell'obbligazione e, anche se nutro stima per la persona in questione, il fatto che mi obblighi a vedere persone palesemente non grate, ridurrà progressivamente a zero la mia stima.
Potrei quasi fare un manuale di istruzioni d'uso della mia persona.
Scrivo tutto questo perché ieri sera mi è capitata tra le mani, mentre cercavo alcune cose, l'ultima lettera che mi scrisse H e leggendola, pur avendo colto alcuni aspetti, mi sono reso conto che pur conoscendomi bene, era riuscita nel giro di pochissimo tempo, uno o due anni, a fare tutte e quatto le cose che riescono da sempre a indispormi. Verso la fine della missiva mi scriveva: "non allontanarci"; te lo ricordi H.? Eppure è bastato ch'io non mi sia fatto sentire per una settimana, dopo anni e anni di telefonate e lettere da parte mia, spostamenti che facevo sempre io, perché le settimane divenissero anni; pensavo di meritare, dopo un "non è cambiato nulla" da parte tua, almeno una telefonata... evidentemente non era così, pazienza.
Non scrivo tutto questo con rancore, o rabbia, o delusione, è tutto troppo lontano perché possa ancora toccarmi, ma per darti una spiegazione della quale probabilmente non saprai cosa farti, ma potrebbe esserti utile per il futuro con altre persone.
Non credere ch'io abbia rimpianti; le scelte che ho fatto all'epoca si confermano ogni giorno come le migliori.
Le persone sono sempre in grado di stupirci e l'abitudine ad esse non è mai garanzia di eterna frequentazione; tutto scorre e cambia e più mobili di altri eventi sono i rapporti interpersonali che sempre sono fluidi.
Ci sono però alcune costanti che sono alla base del nostro essere, un nucleo che rimane, affinandosi, nel tempo e non bisogna mai andare contro questo nucleo; la saggezza popolare dice che le persone vanno pettinate per il loro verso e ha ragione.
Personalmente sono tre, più un'aggiunta in misura minore, le cose che mi fanno decidere tirare dritto per la strada e abbandonare al loro destino le persone.
1) Mai dirmi chi devo o non devo frequentare.
Per quanto riguarda la scelta delle persone da frequentare ritengo valido un unico parere: il mio. Ogni altro parere in essere può essere esposto come opinione, ma non bisogna mai dirmi "quella/o non devi frequentarla/o" o "é meglio che non la/o vedi più". I miei amici e le persone che frequento possono essere ampiamente sottoposte a critiche se è il caso, ma non accetto ordini in argomento.
Nella mia vita è capitato tre volte che qualcuno mi abbia detto una cosa del genere.
Il primo fu mio padre e all'epoca dovevo obbedirgli, ma visto che ritenevo il mio giudizio migliore del suo, ho solo fatte salve le apparenze e ho continuato imperterrito a vedere la persona sottoposta a censura; questa persona la vedro ancora oggi dopo più di vent'anni.
La seconda volta è accaduto alle superiori; un paio di miei compagni di classe decisero che avrei dovuto smettere di frequentare una delle mie poche amiche, quando lo sono venuto a sapere ho mollato l'infelice duo, che per inciso condividevano una mezza arachide nella scatola cranica, ricordo con orrore le ripetizioni di storia, e ho continuato a vedere la mia amica; dopo più di vent'anni, non ostante alcuni incidenti di percorso dei quali parlerò più avanti, continuo a vedere questa persona regolarmente.
La terza volta è stata in qualche misura più grave. All'epoca della scuola superiore le mie amicizie ammontavano a circa tre persone, due sono le persone nominate sopra sottoposte a censura da terzi, e l'altra era una ragazza, che per comodità di narrazione chiamerò H, che ho continuato a vedere per molti anni dopo la scuola superiore e che mi ha aiutato, sotto molti aspetti, ad aprire qualche porta nelle turrite mure che mi circondavano. In un periodo un po' travagliato della nostra amicizia, l'episodio è stato l'inizio del tramonto, avevo iniziato a vedere una persona, conosciuta tramite un'altra amica, ed H mi disse :"anche lei però... guarda stai attento; non dovresti uscire con lei". La cosa mi lasciò stercofatto perché H ed io ci conoscevamo, all'epoca, da almeno una decina d'anni e credevo avesse imparato che vi sono cose che mi fanno alzare gli scudi e armare i siluri fotonici (la nerdezza non può mai essere abbandonata).
Il risultato di questa infelice frase, concausa di altri fattori, è stato che H non la vedo più da almeno nove anni, mentre l'altra persona, che ora è felicemente accasata, continuo a vederla.
2)Mai tirarmi per la giacchetta.
E' assolutamente lecito che le persone si sfoghino con me raccontandomi i fatti che le travagliano, esprimendo anche opinioni poco lusighieri su amici, o conoscenti, comuni, ma in una lite tra persone che conosco e riguardante fatti ai quali non sono stato presente, non mi si deve mai chiedere di schierarmi per l'una o per l'altra.
Chi viene a tirarmi per la giacchetta chiedendo il mio appoggio viene immediatamente silurato senza tante cerimonie e riguardi di alcun genere. Ho commesso una volta l'errore di sposare acriticamente una causa, senza aver partecipato direttamente agli eventi, e il Cosmo mi ha permesso di rimediarvi e da allora non intendo ripetere lo stesso sbaglio.
Posso fornire conforto e qualche consiglio, ma non prenderò posizione e insistere affinché io mi schieri vuol dire perdermi.
3)Mai obbligarmi a farmi fare cose che non voglio fare.
Una volta ero decisamente più insicuro ed ero più propenso a piegarmi a fare cose controvoglia, ma poi opponevo resistenza passiva. Il processo di resistenza passiva è però fonte di stress, tensioni e in generale si sta male in itinere, specie quando si fanno le cose perché le circostanze, per far salve delle amicizie, ce lo impongono.
Certo, alcune cose, volente o nolente, le devo fare per il mio bene e se le faccio è perché mi rendo conto che mi serve farle; per cui mi forzo a farle, ma basta darmi un po' di tempo per farmi capire che è necessario ch'io faccia qualcosa, anche controvoglia, perché io ci rifletta sopra e la faccia. Negarmi i miei tempi è gravissimo; mi fa andare tutto di traverso e poi io mi pianto sulle mie posizioni e divento inamovibile.
Non starò a raccontare tutta la rava e la fava, ne verrebbe fuori una gamba inutile, ma H era coinvolta; basti sapere che da allora insistere nel farmi fare qualcosa che non voglio fare, equivale a farsi mollare come un piccione in una grondaia a dicembre.
L'aggiunta è un corollario alla terza fonte di irritazione massima, ma è meno grave delle precedenti, anche se la reiterazione le procura una promozione immediata:
4)Non obbligarmi a vedere persone sulle quali ho espresso dubbi e che non mi piacciono.
A lungo andare assocerò la persona irritante con colei, o colui, che è all'origine dell'obbligazione e, anche se nutro stima per la persona in questione, il fatto che mi obblighi a vedere persone palesemente non grate, ridurrà progressivamente a zero la mia stima.
Potrei quasi fare un manuale di istruzioni d'uso della mia persona.
Scrivo tutto questo perché ieri sera mi è capitata tra le mani, mentre cercavo alcune cose, l'ultima lettera che mi scrisse H e leggendola, pur avendo colto alcuni aspetti, mi sono reso conto che pur conoscendomi bene, era riuscita nel giro di pochissimo tempo, uno o due anni, a fare tutte e quatto le cose che riescono da sempre a indispormi. Verso la fine della missiva mi scriveva: "non allontanarci"; te lo ricordi H.? Eppure è bastato ch'io non mi sia fatto sentire per una settimana, dopo anni e anni di telefonate e lettere da parte mia, spostamenti che facevo sempre io, perché le settimane divenissero anni; pensavo di meritare, dopo un "non è cambiato nulla" da parte tua, almeno una telefonata... evidentemente non era così, pazienza.
Non scrivo tutto questo con rancore, o rabbia, o delusione, è tutto troppo lontano perché possa ancora toccarmi, ma per darti una spiegazione della quale probabilmente non saprai cosa farti, ma potrebbe esserti utile per il futuro con altre persone.
Non credere ch'io abbia rimpianti; le scelte che ho fatto all'epoca si confermano ogni giorno come le migliori.
Le persone sono sempre in grado di stupirci e l'abitudine ad esse non è mai garanzia di eterna frequentazione; tutto scorre e cambia e più mobili di altri eventi sono i rapporti interpersonali che sempre sono fluidi.
Ci sono però alcune costanti che sono alla base del nostro essere, un nucleo che rimane, affinandosi, nel tempo e non bisogna mai andare contro questo nucleo; la saggezza popolare dice che le persone vanno pettinate per il loro verso e ha ragione.
giovedì 20 ottobre 2011
Sogno
Il sogno di stanotte è stato molto carino.
Ero in viaggio all'estero, stavo facendo il turista in Germania, anche se non si trattava di una città in particolare ed era una versione idealizzata della Germania. Avevo un amico che mi ha fatto da guida e anche da autista e parlava italiano; ovviamente io mi rivolgevo ai locali con un bellissimo inglese, così perfetto come solo nei sogni può esserlo.
Ricordo che a un certo punto superavamo un fiume di una bellissima tonalità di turchese; non attraverso un ponte, ma l'auto era sollevata magneticamente su una sorta di monorotaia e le barche abbandonate, che una volta erano inutilizzate, erano state unite e recuperate sino a formare nuove unità abitative.
Ci addentriamo nel centro medioevale della città, con strane aggiunte barocche minimali qui e là, e mi accorgo che mi serve un interprete perché, ovviamente, non capisco il tedesco e compare Rossarame che mi traduce di volta in volta; dato che avevo già una guida tedesca non era indispensabile la sua presenza, ma nel sogno aveva senso.
A un certo punto ricordo che avviene questo dialogo:
Amico tedesco: "certo che vista una chiesa del '300, viste tutte; sono praticamente tutte uguali"
io: "si... un po' come i templi in Giappone"
Amico tedesco:"non sono mai stato in Giappone; come sono i templi?"
Rossarame:"bhè... quelli buddhisti sono variamente marroni e quelli shintoisti sono tutti arancioni :asd:" (c'era chiaramente un :asd: finale)
Ero in viaggio all'estero, stavo facendo il turista in Germania, anche se non si trattava di una città in particolare ed era una versione idealizzata della Germania. Avevo un amico che mi ha fatto da guida e anche da autista e parlava italiano; ovviamente io mi rivolgevo ai locali con un bellissimo inglese, così perfetto come solo nei sogni può esserlo.
Ricordo che a un certo punto superavamo un fiume di una bellissima tonalità di turchese; non attraverso un ponte, ma l'auto era sollevata magneticamente su una sorta di monorotaia e le barche abbandonate, che una volta erano inutilizzate, erano state unite e recuperate sino a formare nuove unità abitative.
Ci addentriamo nel centro medioevale della città, con strane aggiunte barocche minimali qui e là, e mi accorgo che mi serve un interprete perché, ovviamente, non capisco il tedesco e compare Rossarame che mi traduce di volta in volta; dato che avevo già una guida tedesca non era indispensabile la sua presenza, ma nel sogno aveva senso.
A un certo punto ricordo che avviene questo dialogo:
Amico tedesco: "certo che vista una chiesa del '300, viste tutte; sono praticamente tutte uguali"
io: "si... un po' come i templi in Giappone"
Amico tedesco:"non sono mai stato in Giappone; come sono i templi?"
Rossarame:"bhè... quelli buddhisti sono variamente marroni e quelli shintoisti sono tutti arancioni :asd:" (c'era chiaramente un :asd: finale)
mercoledì 19 ottobre 2011
"Meglio soli che male accompagnati"
Questa frase credo che sia una delle mie preferite. Lo so, ho detto in altri post che la solitudine non è cosa bella, per nessuno, ma è anche vero che sovente ci si ritrova a gestire un rapporto, sia di amicizia o altro, che va stretto e allora tanto vale chiedersi se ne valga o meno la pena di andare avanti.
A volte ci sono dei margini di miglioramento, a volte no, ogni caso è diverso e va valutato singolarmente, specie quando in ballo c'è qualcosa di più di una episodica conoscenza, ma arrivare alla questione "ne vale la pena" è sintomo che moltissime cose non vanno.
Dato che perché le cose non funzionino bisogna essere almeno in due, va da sé che le colpe vanno divise almeno per due, ma non sempre ognuno riceve metà della colpa.
Se c'è una cosa che mi lascia basito sono quelle persone che fingono di prendersi delle colpe solo per il gusto di sentirsi dire: "no; non è colpa tua. Tu hai fatto tutto quello che potevi e non puoi ritenere sbagliato cercare l'appoggio altrui"... si tratta di un modo come un altro per manlevarsi di ogni responsabilità.
Il peggio è quando non puoi neppure fare una critica perché verrebbe presa come un atto di lesa maestà; nel qual caso non si tratta di amicizia o che, ma di una forma di sudditanza.
Vediamo sempre il mondo con delle lenti deformanti, che cambiano le cose a seconda della nostra sensibilità, della nostra predisposizione alla lagnanza in lungo e del nostro vittimismo e l'idea che abbiamo di noi stessi non fa eccezione; ci vediamo in un modo che è più o meno distorto e a volte la distorsione è tale che ci impedisce di capire cosa stiamo guardando.
Se il mondo ci dice che stiamo facendo qualcosa di sbagliato vi sono tre possibilità:
1) abbiamo ragione noi e il mondo non capisce niente, ma si tratta di una possibilità remotissima, da considerare per ultima e solo se i risultati ci danno ragione.
2) ha ragione il mondo; possibilità ben più probabile
3) ci chiamiamo Beverly Crusher e abbiamo un figlio che, giocando in posti dove non dovrebbe giocare, ci ha rinchiuso in una bolla spazio-tempo che sta collassando.
Come si fa a capire se ricadiamo nell'ipotesi uno o nell'ipotesi due? La tre non la considero perché vale solo se avete recitato in TNG.
Basta guardare a come ci siamo comportati nel tempo, esiste sempre un modus operandi riconoscibile, e tendiamo a fare più o meno lo stesso errore, specie se non siamo abituati a fare dell'autocritica; è vitale riuscire ad avere un po' di obiettività e riuscire a guardare alle cose come se non ci coinvolgessero, per poterle valutare in modo equilibrato.
E' come quando si litiga: non bisogna rivangare episodi avvenuti nel precambriano e tirarli fuori ogni volto, ma valutare il singolo episodio, riducendolo quindi alle sue dimensioni effettive, o guardare al piano generale e capire dov'è l'errore da correggere.
L'obiettività è la chiave per l'equilibrio, per capire che siamo fallibili, siamo tutti capaci di comportarci e compiere il male e per capire che conoscendo i nostri difetti possiamo porvi rimedio.
"Conosci te stesso" rimane il consiglio migliore mai dato nella storia dell'umanità.
A volte ci sono dei margini di miglioramento, a volte no, ogni caso è diverso e va valutato singolarmente, specie quando in ballo c'è qualcosa di più di una episodica conoscenza, ma arrivare alla questione "ne vale la pena" è sintomo che moltissime cose non vanno.
Dato che perché le cose non funzionino bisogna essere almeno in due, va da sé che le colpe vanno divise almeno per due, ma non sempre ognuno riceve metà della colpa.
Se c'è una cosa che mi lascia basito sono quelle persone che fingono di prendersi delle colpe solo per il gusto di sentirsi dire: "no; non è colpa tua. Tu hai fatto tutto quello che potevi e non puoi ritenere sbagliato cercare l'appoggio altrui"... si tratta di un modo come un altro per manlevarsi di ogni responsabilità.
Il peggio è quando non puoi neppure fare una critica perché verrebbe presa come un atto di lesa maestà; nel qual caso non si tratta di amicizia o che, ma di una forma di sudditanza.
Vediamo sempre il mondo con delle lenti deformanti, che cambiano le cose a seconda della nostra sensibilità, della nostra predisposizione alla lagnanza in lungo e del nostro vittimismo e l'idea che abbiamo di noi stessi non fa eccezione; ci vediamo in un modo che è più o meno distorto e a volte la distorsione è tale che ci impedisce di capire cosa stiamo guardando.
Se il mondo ci dice che stiamo facendo qualcosa di sbagliato vi sono tre possibilità:
1) abbiamo ragione noi e il mondo non capisce niente, ma si tratta di una possibilità remotissima, da considerare per ultima e solo se i risultati ci danno ragione.
2) ha ragione il mondo; possibilità ben più probabile
3) ci chiamiamo Beverly Crusher e abbiamo un figlio che, giocando in posti dove non dovrebbe giocare, ci ha rinchiuso in una bolla spazio-tempo che sta collassando.
Come si fa a capire se ricadiamo nell'ipotesi uno o nell'ipotesi due? La tre non la considero perché vale solo se avete recitato in TNG.
Basta guardare a come ci siamo comportati nel tempo, esiste sempre un modus operandi riconoscibile, e tendiamo a fare più o meno lo stesso errore, specie se non siamo abituati a fare dell'autocritica; è vitale riuscire ad avere un po' di obiettività e riuscire a guardare alle cose come se non ci coinvolgessero, per poterle valutare in modo equilibrato.
E' come quando si litiga: non bisogna rivangare episodi avvenuti nel precambriano e tirarli fuori ogni volto, ma valutare il singolo episodio, riducendolo quindi alle sue dimensioni effettive, o guardare al piano generale e capire dov'è l'errore da correggere.
L'obiettività è la chiave per l'equilibrio, per capire che siamo fallibili, siamo tutti capaci di comportarci e compiere il male e per capire che conoscendo i nostri difetti possiamo porvi rimedio.
"Conosci te stesso" rimane il consiglio migliore mai dato nella storia dell'umanità.
martedì 18 ottobre 2011
"Che confusione..."
...ma non è "perché ti amo"; tanto per citare liberamente i Ricchi e Poveri.
E' passata quasi una settimana dal mio ultimo post e avrei voluto scrivere qualcosa sul blog in questi giorni, e avrei forse avuto anche argomenti dei quali trattare, ma gli ultimi giorni sono stati all'insegna della più completa confusione.
Abbiamo iniziato subito con una questione catastale di sovrapposizioni che non tornavano e che ci siamo trascinati per un bel po', a questo si è aggiunto un po' di casino creato dal Capo riguardo a dei telefoni e che ora, come un domino, sta divenendo sempre più complesso e costoso.
Dato che il capo è nervoso, ho giusto avuto conferma che dovrà andarsene, anche se non so quando, oggi si inventa anche le cose dicendo che telefona su un cellulare quando quest'ultimo non ha emesso suoni... e non compare neppure la chiamata non risposta.
Spero che la settimana si chiuda senza troppi casini, perché io ne avrei anche avuti a sufficienza.
Oggi mi sono dovuto fermare in pausa pranzo e questo vuol dire che alle cinque leverò le tende.
E' passata quasi una settimana dal mio ultimo post e avrei voluto scrivere qualcosa sul blog in questi giorni, e avrei forse avuto anche argomenti dei quali trattare, ma gli ultimi giorni sono stati all'insegna della più completa confusione.
Abbiamo iniziato subito con una questione catastale di sovrapposizioni che non tornavano e che ci siamo trascinati per un bel po', a questo si è aggiunto un po' di casino creato dal Capo riguardo a dei telefoni e che ora, come un domino, sta divenendo sempre più complesso e costoso.
Dato che il capo è nervoso, ho giusto avuto conferma che dovrà andarsene, anche se non so quando, oggi si inventa anche le cose dicendo che telefona su un cellulare quando quest'ultimo non ha emesso suoni... e non compare neppure la chiamata non risposta.
Spero che la settimana si chiuda senza troppi casini, perché io ne avrei anche avuti a sufficienza.
Oggi mi sono dovuto fermare in pausa pranzo e questo vuol dire che alle cinque leverò le tende.
giovedì 13 ottobre 2011
Raganella
"Quando ero bambina c'era, ma c'è anche adesso, un canale vicino a casa che comunicava direttamente con il Po; all'epoca il Po era più pulito e ricordo che c'era pieno di rane. Alla sera si sentivano dei concerti meravigliosi; le rane gracidavano sempre.
Una volta ho anche preso in mano una raganella; era piccola, di un bel verde, del colore dell'erba. Molto socievole, per cui la tenevo sul palmo della mano e lei si è lasciata accarezzare; hanno una bella pelle morbida."
Augusta Genitrice
A Salso di raganelle non ne ho mai viste, siamo pieni di rospi smeraldini, ma raganelle non ne ho mai viste. L'unica volta che ne ho vista una è stato al cimitero di Roccabianca molto tempo fa. Vicino alle tombe dei miei nonni, i cui corpi riposano in terra perché loro avranno altro da fare, c'era un grosso cespuglio, adesso non credo ci sia più, e lì in mezzo c'era una bellissima raganella.
Tutto sommato siamo una famiglia amante degli anfibi.
Avrei potuto utilizzare, per questo post, il superpotere della "lagnanza ammorbante", tanto per citare Silvia Ziche, ma ho preferito raccontare d'altro; non ho dimenticato il blog, è che in questi giorni ho avuto molte cose da fare e poco tempo per pensare a qualcosa di diverso dal lavoro... al quale torno.
lunedì 10 ottobre 2011
Novembre
Kate Bush "Wild Man"
Per quest'anno, per quel che mi riguarda, Natale arriverà a Novembre e sarà questo mese ad essere ancora magico :)
Per quest'anno, per quel che mi riguarda, Natale arriverà a Novembre e sarà questo mese ad essere ancora magico :)
giovedì 6 ottobre 2011
"Un giorno di pioggia..."
"...Andrea e Giuliano incontrano Licia per caso"
Non vi canterò tutta la sigla, un po' perché non la so a memoria e un po' perché trovavo abbastanza inutile il cartone.
Avrei potuto fregare questa bella idea a Ferruccio, ma anche questa non è male, ma le terrò entrambe per un giorno di pioggia, quando le idee latitano e non so cosa scrivere sul blog.
Non che debba essere necessariamente un reale giorno di pioggia; intendiamolo in senso figurato, come quando piove e non vuoi uscire, ma restare sotto a una coperta, un buon libro, ad ascoltare la pioggia che cade e non vuoi fare altro per tutta la giornata.
Potrebbe benissimo anche chiamarsi un giorno di caldo porco, quando c'è troppo caldo anche solo per pensare e l'unica cosa che si vuole fare è rintanarsi all'ombra e al fresco in qualche pertugio ipogeo.
Tutto questo per dire che sto proseguendo la lettura di "Gone with the wind", un libro ben fatto con una protagonista strepitosa, e questa lettura mi ha fatto fare alcune considerazioni sugli effetti collaterali dell'emancipazione femminile.
In genere questo evento enumera le conquiste della donna e di seguito viene attaccata la crisi dell'uomo; ecco, stamane, durante le consuete abluzioni mattutine, ho fatto una considerazione diversa.
Relegando la donna in cucina l'uomo si è fornito di una badante, una sorta di assistente sociale, la cui perdita, poiché finalmente la donna ha potuto superare i confini domestici, ha costretto l'uomo all'indipendenza.
Grazie all'emancipazione femminile, anche gli uomini oggi possono fare molte cose senza l'ausilio della badante, ad esempio:
- possono lavare e stirare da soli il proprio vestiario;
- possono rammendarsi il vestiario senza bisogno dell'assistente sociale;
- sono in grado di farsi da mangiare, evitando quindi la morte per fame o il dilapidare un patrimonio in cene fuori;
- cambiare i pannolini alla prole senza andare nel panico di fronte a una cosa così semplice;
- lavare le stoviglie e mettere ordine in casa senza rischiare di vivere in porcile e prendersi qualche malattia interessante... e via discorrendo.
Ancora molto c'è da fare; d'altronde la percentuale di uomini autosufficienti non è elevata ed è un po' come se fossimo appena entrati nell'adolescenza.
Ci voleva proprio l'emancipazione femminile per farci maturare.
Non vi canterò tutta la sigla, un po' perché non la so a memoria e un po' perché trovavo abbastanza inutile il cartone.
Avrei potuto fregare questa bella idea a Ferruccio, ma anche questa non è male, ma le terrò entrambe per un giorno di pioggia, quando le idee latitano e non so cosa scrivere sul blog.
Non che debba essere necessariamente un reale giorno di pioggia; intendiamolo in senso figurato, come quando piove e non vuoi uscire, ma restare sotto a una coperta, un buon libro, ad ascoltare la pioggia che cade e non vuoi fare altro per tutta la giornata.
Potrebbe benissimo anche chiamarsi un giorno di caldo porco, quando c'è troppo caldo anche solo per pensare e l'unica cosa che si vuole fare è rintanarsi all'ombra e al fresco in qualche pertugio ipogeo.
Tutto questo per dire che sto proseguendo la lettura di "Gone with the wind", un libro ben fatto con una protagonista strepitosa, e questa lettura mi ha fatto fare alcune considerazioni sugli effetti collaterali dell'emancipazione femminile.
In genere questo evento enumera le conquiste della donna e di seguito viene attaccata la crisi dell'uomo; ecco, stamane, durante le consuete abluzioni mattutine, ho fatto una considerazione diversa.
Relegando la donna in cucina l'uomo si è fornito di una badante, una sorta di assistente sociale, la cui perdita, poiché finalmente la donna ha potuto superare i confini domestici, ha costretto l'uomo all'indipendenza.
Grazie all'emancipazione femminile, anche gli uomini oggi possono fare molte cose senza l'ausilio della badante, ad esempio:
- possono lavare e stirare da soli il proprio vestiario;
- possono rammendarsi il vestiario senza bisogno dell'assistente sociale;
- sono in grado di farsi da mangiare, evitando quindi la morte per fame o il dilapidare un patrimonio in cene fuori;
- cambiare i pannolini alla prole senza andare nel panico di fronte a una cosa così semplice;
- lavare le stoviglie e mettere ordine in casa senza rischiare di vivere in porcile e prendersi qualche malattia interessante... e via discorrendo.
Ancora molto c'è da fare; d'altronde la percentuale di uomini autosufficienti non è elevata ed è un po' come se fossimo appena entrati nell'adolescenza.
Ci voleva proprio l'emancipazione femminile per farci maturare.
mercoledì 5 ottobre 2011
Geometria e altro
Ci sono tre rette; la retta "r" è parallela alla retta "p" e la retta "p" è parallela alla retta "q" per cui, per la proprietà transitiva, la retta "q" è parallela alla retta "r".
La proprietà transitiva si applica anche alla matematica, ma quando viene applicata alla filosofia diviene un sillogismo che è uno strumento elementare e fallibile di ragionamento.
Un esempio di sillogismo assurdo è il seguente: "Socrate è un animale; i cani sono animali, quindi Socrate è un cane" e probabilmente il buon Socrate, date le abitudini igieniche della Grecia classica, avrà anche avuto un afrore importante, ma di certo non era un cane.
Questo per dire che le proprietà degli oggetti geometrici non sono applicabili ai rapporti interpersonali perché le persone non sono punti, rette e superfici.
Platone con l'Iperurania sostiene che le idee sono collegate agli oggetti materiali che rappresentano, non sono però un oggetto specifico, ma l'archetipo di esso; questo perché tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare.
Solo gli archetipi di oggetti semplici come punti e linee coincidono con gli oggetti reali, perché in questo caso l'oggetto reale non esiste se non come costruzione matematica.
Può capitare che ci si faccia un'idea di sé del tutto sbagliata; se accade basta applicare il metodo scientifico: osservare la realtà, capire dove l'idea si discosta dal reale e desumere una nuova idea di sé partendo dalle osservazioni.
D'altronde se anche il Diavolo, che è un angelo caduto il cui nome significa "portatore di luce", fa le pentole e non i coperchi chi siamo noi per azzeccarle sempre tutte?
C'è sempre qualcuno più bravo.
La proprietà transitiva si applica anche alla matematica, ma quando viene applicata alla filosofia diviene un sillogismo che è uno strumento elementare e fallibile di ragionamento.
Un esempio di sillogismo assurdo è il seguente: "Socrate è un animale; i cani sono animali, quindi Socrate è un cane" e probabilmente il buon Socrate, date le abitudini igieniche della Grecia classica, avrà anche avuto un afrore importante, ma di certo non era un cane.
Questo per dire che le proprietà degli oggetti geometrici non sono applicabili ai rapporti interpersonali perché le persone non sono punti, rette e superfici.
Platone con l'Iperurania sostiene che le idee sono collegate agli oggetti materiali che rappresentano, non sono però un oggetto specifico, ma l'archetipo di esso; questo perché tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare.
Solo gli archetipi di oggetti semplici come punti e linee coincidono con gli oggetti reali, perché in questo caso l'oggetto reale non esiste se non come costruzione matematica.
Può capitare che ci si faccia un'idea di sé del tutto sbagliata; se accade basta applicare il metodo scientifico: osservare la realtà, capire dove l'idea si discosta dal reale e desumere una nuova idea di sé partendo dalle osservazioni.
D'altronde se anche il Diavolo, che è un angelo caduto il cui nome significa "portatore di luce", fa le pentole e non i coperchi chi siamo noi per azzeccarle sempre tutte?
C'è sempre qualcuno più bravo.
martedì 4 ottobre 2011
Serie Tv
Non capita spesso che mi dilunghi a parlare di quello che guardo in un dato periodo, un po' perché preferisco leggere e un po' perché, in genere, mi limito a riguardare alcune trasmissioni vecchie.
Di nuovo ci sono solo alcune serie, persino in corso di trasmissione, il resto sono tutte serie vecchie già trasmesse e prese in dvd.
Raumpatrouille
Sono quasi arrivato in fondo, mi manca giusto una puntata, di questa bella serie tedesca degli anni '60. Quel che ho apprezzato di più, che in altre serie televisivi di fantascienza manca, è la vita da dopo lavoro; l'equipaggio della Orion fa volentieri baldoria e bevono come spugne dopo il lavoro... d'altronde sono bavaresi e ridono un sacco.
Niente seriosità alla Derrick, insomma, ma una serie ben fatta con dei protagonisti quasi caciaroni.
Un vero peccato che consti di sole sette puntate.
The Big Bang Theory
La serie è davvero ben fatta, le puntate durano venti minuti, o giù di lì, e la guardo in streaming perché è ancora in corso e non avendo il satellite me la posso godere tramite internet in lingua originale.
Castle
Gli scrittori che indagano mi sono sempre piaciuti dai tempi della Fletcher e questa serie è proprio ben fatta. Le trame non sono mai scontate, il rapporto tra i protagonisti è molto bello e persino il personaggio della figlia di Castle, che sinora era la parte più debole della serie (compare comunque in modo marginale), ultimamente si è riscattata.
Gimme, Gimme, Gimme
Uno degli ultimi acquisti dal Regno Unito. Sinora ho visto solo il pilot ma devo dire che promette bene; la protagonista, che mi aveva già dato del filo da torcere per capirla in "Absolutely fabulous", dove interpreta il capo di Patsy, mi ricorda anche una persona che conoscevo una volta.
Il dvd arriva privo di sottotitoli di alcun genere e quindi mi aspetta un discreto sforzo di comprensione.
Hyperdrive
Gli interessi britannici non sono mai stati in mani migliori.
Si tratta di una serie televisiva di fantascienza, sull'onda de "the hitchhiker's guide to the galaxy" e "red dwarf", che narra le vicende di un equipaggio scalcagnato, a bordo della HMS Camden Lock, in missione per la galassia alla ricerca di possibili partners commerciali per la Gran Bretagna.
Pan Am
Ho giusto visto il pilot, perché solo quello hanno trasmesso sinora, e devo dire che mi è proprio piaciuto; in più c'è Cristina Ricci che adoro da quando faceva la figlia nuotatrice di Cher in Mermaids.
Game of Thrones
Sinora ho visto solo il pilot e devo dire che mi è proprio piaciuta, ma per una ragione o per l'altra, non sono mai riuscito ad andare avanti e dovrò rimediare prima dell'inizio della prossima stagione.
Direi che sono più che abbastanza considerato che le mie serate in genere sono consacrate alla lettura.
Di nuovo ci sono solo alcune serie, persino in corso di trasmissione, il resto sono tutte serie vecchie già trasmesse e prese in dvd.
Raumpatrouille
Sono quasi arrivato in fondo, mi manca giusto una puntata, di questa bella serie tedesca degli anni '60. Quel che ho apprezzato di più, che in altre serie televisivi di fantascienza manca, è la vita da dopo lavoro; l'equipaggio della Orion fa volentieri baldoria e bevono come spugne dopo il lavoro... d'altronde sono bavaresi e ridono un sacco.
Niente seriosità alla Derrick, insomma, ma una serie ben fatta con dei protagonisti quasi caciaroni.
Un vero peccato che consti di sole sette puntate.
The Big Bang Theory
La serie è davvero ben fatta, le puntate durano venti minuti, o giù di lì, e la guardo in streaming perché è ancora in corso e non avendo il satellite me la posso godere tramite internet in lingua originale.
Castle
Gli scrittori che indagano mi sono sempre piaciuti dai tempi della Fletcher e questa serie è proprio ben fatta. Le trame non sono mai scontate, il rapporto tra i protagonisti è molto bello e persino il personaggio della figlia di Castle, che sinora era la parte più debole della serie (compare comunque in modo marginale), ultimamente si è riscattata.
Gimme, Gimme, Gimme
Uno degli ultimi acquisti dal Regno Unito. Sinora ho visto solo il pilot ma devo dire che promette bene; la protagonista, che mi aveva già dato del filo da torcere per capirla in "Absolutely fabulous", dove interpreta il capo di Patsy, mi ricorda anche una persona che conoscevo una volta.
Il dvd arriva privo di sottotitoli di alcun genere e quindi mi aspetta un discreto sforzo di comprensione.
Hyperdrive
Gli interessi britannici non sono mai stati in mani migliori.
Si tratta di una serie televisiva di fantascienza, sull'onda de "the hitchhiker's guide to the galaxy" e "red dwarf", che narra le vicende di un equipaggio scalcagnato, a bordo della HMS Camden Lock, in missione per la galassia alla ricerca di possibili partners commerciali per la Gran Bretagna.
Pan Am
Ho giusto visto il pilot, perché solo quello hanno trasmesso sinora, e devo dire che mi è proprio piaciuto; in più c'è Cristina Ricci che adoro da quando faceva la figlia nuotatrice di Cher in Mermaids.
Game of Thrones
Sinora ho visto solo il pilot e devo dire che mi è proprio piaciuta, ma per una ragione o per l'altra, non sono mai riuscito ad andare avanti e dovrò rimediare prima dell'inizio della prossima stagione.
Direi che sono più che abbastanza considerato che le mie serate in genere sono consacrate alla lettura.
lunedì 3 ottobre 2011
Arte e artisti
Ispirato da un articolo letto sull'arte povera, mi è venuto un po' di travaso di bile, e da una serie di personaggi discutibili, diciamo così, ho deciso di scrivere due righe riguardo l'artista.
Va da sé che trattasi di opinione personalissima; lo paleso subito, anche se è del tutto superfluo dato che solo la nostra opinione possiamo esprimere correttamente, perché si sappia che queste considerazioni sono frutto di ripetuti episodi che mi hanno lasciato del tutto basito.
In principio, ma senza partire da Tiamat o da Nyx, l'artista era un artigiano specializzato; il suo lavoro richiedeva un certo talento e anni di pratica di bottega per apprendere la manualità e le conoscenze, per poter lavorare al servizio di un qualche signore locale.
L'artista lavorava duramente per la pagnotta; sfoderando inusitate doti di captatio benevolentiae e piegandosi a quasi ogni cosa per poter mangiare.
Nel Medioevo sono rarissimi i casi nei quai conosciamo il nome dell'artista creatore di determinate opere, Wiligelmo e Antelami sono un caso raro; il considerare l'artista e quindi per estensione anche l'architetto, come un artigiano è prassi antica, poiché entrambi utilizzano, per fare le cose, la manualità e apprendono una serie di tecniche indispensabile alla realizzazione dei vari progetti.
Nel corso del tempo, iniziando dal Rinascimento, la figura dell'artista diventa sempre più vicina a quella dell'intellettuale; un personaggio che lavora tramite le idee e non con le mani.
Con le avanguardie, la perfoming art e tutti i vari movimenti contemporanei, l'aspetto privilegiato, più appariscente, del lavoro dell'artista è dato dall'idea che comunica e la capacità tecnica è scivolata in secondo piano.
Se c'è una cosa che mi fa imbestialire, sono quelle persone che "sentono" l'arte, si ritengono grandissimi geni incompresi, e non sanno tenere in mano una matita, ignorano le più semplici regole del disegno, conoscono il nome "texture" giusto perché c'è su photoshop, ma non ne hanno mai realizzata una a matita.
Per quanto possa risultare faticoso, che poi bisognerebbe sentire cosa ne pensa chi lavora in miniera, disegnare a mano senza l'ausilio di strumenti di assistenza informatici, che è come disegnare con la badante, è indispensabile per formarsi una valida conoscenza della composizione e della gestione dello spazio.
Il disegno dal vero forma l'occhio e insegna a osservare come funzionano le cose, come si torcono e come i materiali si comportano rispetto alla luce, sia essa solare o elettrica.
La conoscenza dei materiali e delle tecniche è assolutamente necessaria perché quello che abbiamo pensato posso essere realizzato nella realtà.
Il disegno a mano, dal vero, saper utilizzare l'olio, l'acquerello, l'acrilico e via discorrendo, sono l'alfabeto e le regole grammaticali del fare arte.
L'arte è un linguaggio e come tale ha un alfabeto e delle regole grammaticali e le regole non si possono innovare, o rompere, se le si ignora; è come scrivere senza conoscere la grammatica.
La cosa che detesto di più di questo periodo storico è il pressapochismo e l'arroganza di potersi ritenere grandi artisti ignorando le basi, o pensando di essere troppo grandi per aver bisogno di imparare dal principio.
Conoscere l'alfabeto, avere una buona mano, è importante ma non basta per scrivere un romanzo.
Quando mancano le conoscenze tecnica si copiano le opere altrui, riempendole di significati diversi e spacciandole per originali.
La prima volta che Malevic ha creato "quadrato bianco su fondo bianco", ha avuto un'idea geniale, ma vi è pervenuto attraverso un percorso che è passato dal disegno figurativo e dalle tecniche pittoriche ad esso connesse; ma la sessantesima tela bianca prodotta da un tizio a caso, che mi dice di nuovo?
Detesto chi si dice, proclamandolo al mondo, "io sono un artista"; se non hai fatto qualche anno di cubi, fogli, bottiglie, insomma di disegno dal vero imparando almeno a gestire il bianco e nero puoi essere al massimo un tronfio intellettuale... probabilmente mediocre.
Va da sé che trattasi di opinione personalissima; lo paleso subito, anche se è del tutto superfluo dato che solo la nostra opinione possiamo esprimere correttamente, perché si sappia che queste considerazioni sono frutto di ripetuti episodi che mi hanno lasciato del tutto basito.
In principio, ma senza partire da Tiamat o da Nyx, l'artista era un artigiano specializzato; il suo lavoro richiedeva un certo talento e anni di pratica di bottega per apprendere la manualità e le conoscenze, per poter lavorare al servizio di un qualche signore locale.
L'artista lavorava duramente per la pagnotta; sfoderando inusitate doti di captatio benevolentiae e piegandosi a quasi ogni cosa per poter mangiare.
Nel Medioevo sono rarissimi i casi nei quai conosciamo il nome dell'artista creatore di determinate opere, Wiligelmo e Antelami sono un caso raro; il considerare l'artista e quindi per estensione anche l'architetto, come un artigiano è prassi antica, poiché entrambi utilizzano, per fare le cose, la manualità e apprendono una serie di tecniche indispensabile alla realizzazione dei vari progetti.
Nel corso del tempo, iniziando dal Rinascimento, la figura dell'artista diventa sempre più vicina a quella dell'intellettuale; un personaggio che lavora tramite le idee e non con le mani.
Con le avanguardie, la perfoming art e tutti i vari movimenti contemporanei, l'aspetto privilegiato, più appariscente, del lavoro dell'artista è dato dall'idea che comunica e la capacità tecnica è scivolata in secondo piano.
Se c'è una cosa che mi fa imbestialire, sono quelle persone che "sentono" l'arte, si ritengono grandissimi geni incompresi, e non sanno tenere in mano una matita, ignorano le più semplici regole del disegno, conoscono il nome "texture" giusto perché c'è su photoshop, ma non ne hanno mai realizzata una a matita.
Per quanto possa risultare faticoso, che poi bisognerebbe sentire cosa ne pensa chi lavora in miniera, disegnare a mano senza l'ausilio di strumenti di assistenza informatici, che è come disegnare con la badante, è indispensabile per formarsi una valida conoscenza della composizione e della gestione dello spazio.
Il disegno dal vero forma l'occhio e insegna a osservare come funzionano le cose, come si torcono e come i materiali si comportano rispetto alla luce, sia essa solare o elettrica.
La conoscenza dei materiali e delle tecniche è assolutamente necessaria perché quello che abbiamo pensato posso essere realizzato nella realtà.
Il disegno a mano, dal vero, saper utilizzare l'olio, l'acquerello, l'acrilico e via discorrendo, sono l'alfabeto e le regole grammaticali del fare arte.
L'arte è un linguaggio e come tale ha un alfabeto e delle regole grammaticali e le regole non si possono innovare, o rompere, se le si ignora; è come scrivere senza conoscere la grammatica.
La cosa che detesto di più di questo periodo storico è il pressapochismo e l'arroganza di potersi ritenere grandi artisti ignorando le basi, o pensando di essere troppo grandi per aver bisogno di imparare dal principio.
Conoscere l'alfabeto, avere una buona mano, è importante ma non basta per scrivere un romanzo.
Quando mancano le conoscenze tecnica si copiano le opere altrui, riempendole di significati diversi e spacciandole per originali.
La prima volta che Malevic ha creato "quadrato bianco su fondo bianco", ha avuto un'idea geniale, ma vi è pervenuto attraverso un percorso che è passato dal disegno figurativo e dalle tecniche pittoriche ad esso connesse; ma la sessantesima tela bianca prodotta da un tizio a caso, che mi dice di nuovo?
Detesto chi si dice, proclamandolo al mondo, "io sono un artista"; se non hai fatto qualche anno di cubi, fogli, bottiglie, insomma di disegno dal vero imparando almeno a gestire il bianco e nero puoi essere al massimo un tronfio intellettuale... probabilmente mediocre.
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