"A stolen tongue" di Holman Sheri
Non riesco a capire quale sia l'obbiettivo di questo romanzo. Poteva essere un bel racconto, l'ambientazione storica è ben riuscita, inerente un pellegrinaggio in Terra Santa, con pericoli e avventure che in itinere possono accadere, ma l'innesto con il giallo è mal riuscito. La parte investigativa, che avrebbe dovuto coinvolgere il lettore e condurlo, con le deduzioni del protagonista, a svelare misteri, latita; il personaggio principale, un frate, è un Don Abbondio puerile al quale gli artefici dell'azione si rivolgono in modo immotivato. Il libro è il resoconto del pellegrinaggio per quattro quinti del suo volume; durante il tragitto accadono fatti portentosi che vengono notati dal protagonista e subito dimenticati, nessuno investiga, nessuno chiede e solo alla fine, nelle ultime cento pagine, al protagonista vengono rivelate, perché da solo non ci arriva e neppure si cura di arrivarci, le trame sottostanti i fatti dei quali è stato testimone.
Poteva essere un buon resoconto di viaggio, ma le pretese da "mistery", disattese, rovinano la lettura; poteva essere un buon "mistery" se ci fosse stato un "investigatore", anziché l'amorfo protagonista; il protagonista poteva uscirne come un personaggio tormentato se fosse stato benedetto da un po' di intelligenza, ma è un personaggio stupido come un sanpietrino.
Peccato perché l'idea era bella e mi aveva incuriosito.
L'unico fatto interessante è che il protagonista è immagine di un frate, Felix Fabri di Ulm, che nel 1483 compì un pellegrinaggio in Terra Santa e ne tenne un diario, ma a questo punto, come documento storico, è meglio leggere il diario originario del frate ed evitare questo inutile romanzo che vuole essere un po' romanzo storico, un po' mistery e fallisce miseramente.
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